Quando “mangiare pulito” diventa pericoloso: il paradosso del clean eating e l’ortoressia nervosa.

Viviamo in un’epoca in cui mangiare bene è diventato un atto identitario?

Forse non si tratta più solo di scegliere cosa mettere nel piatto, ma di definire chi siamo attraverso ciò che mangiamo; c’è chi si riconosce nella dieta plant-based, chi nel bio, chi nel gluten-free, chi nel “senza zuccheri aggiunti”; il cibo non è più soltanto nutrimento: è narrazione personale, scelta morale o status sociale.

In questo scenario nasce e si diffonde il concetto di clean eating, “mangiare pulito”, un’espressione che suona innocua, persino virtuosa.

Chi non vorrebbe nutrirsi in modo sano, naturale, consapevole?

Eppure, come spesso accade, un’idea nata con buone intenzioni può trasformarsi in qualcosa di negativo, soprattutto quando la ricerca della salute diventa un obbligo morale, e non più un gesto di cura verso se stessi.
Il movimento del clean eating nasce da un bisogno reale ovvero quello di reagire a un’alimentazione sempre più industriale, iperprocessata e ricca di zuccheri aggiunti.
L’intento era semplice: tornare ad un rapporto più genuino con il cibo, riscoprire ingredienti naturali e cucinati in casa; un modo per riconnettersi con il cibo e con il corpo, con un messaggio di consapevolezza e rispetto.

Nel tempo però, il significato è stato distorto, il cibo “pulito” ha introdotto, quasi impercettibilmente un giudizio morale: se esiste un cibo “pulito”, allora esiste anche un cibo “sporco”.
Da qui l’alimentazione diventa un terreno dove la salute si confonde con la perfezione; chi segue rigidamente certe regole si sente virtuoso, chi non le rispetta, si percepisce in colpa.
Mangiare smette di essere un gesto di piacere o nutrimento, e diventa un test personale.

Questa ossessione per la purezza alimentare ha un nome: Ortoressia nervosa.
Si tratta di un disturbo in cui l’attenzione al “mangiare sano” diventa eccessiva, fino a compromettere il benessere stesso della persona; nel tentativo di mangiare meglio, si finisce per vivere peggio.

Credo che non esista cibo “pulito” o “sporco”; credo nel contesto, nella varietà e nella flessibilità.
Un pasto non rovina la salute, ma un rapporto rigido con il cibo può farlo.
Mangiare sano significa anche concedersi libertà, piacere e convivialità perché il cibo è anche relazione, cultura, memoria e, a volte, anche un piccolo disordine felice.

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